“Lo sguardo ultra-retinico di Carlo Previtali riesce, con umanistica naturalezza, a navigare dolcemente nel metaspazio spirituale e a cogliere, in rara sintesi, la complessa eppur intima armonia che adorna l’essere attraverso ciascun stato dell’animo”
– Claudio Caserta, critico e storico dell’arte.
Carlo Previtali è nato a Bergamo nel 1947. Dopo aver frequentato il Liceo Artistico, si è iscritto all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano diplomandosi nel 1975 alla scuola di scultura di Alik Cavaliere. Nel 1981 si è laureato in Architettura presso il Politecnico di Milano.
La sua attività d’insegnamento si è concentrata a Bergamo quale docente di discipline plastiche presso l’Istituto d’Arte Andrea Fantoni, l’Accademia di Belle Arti Carrara, il Liceo Artistico di Bergamo e poi di Lovere (Bg).
La sua attività espositiva ha inizio negli anni sessanta con la partecipazione ad alcuni concorsi a cui seguono mostre collettive e personali sia in spazi pubblici che privati e partecipazioni alle più importanti fiere d’arte d’Italia.
Carlo Previtali ha trovato nel mondo classico e della mitologia greco-romana la rivelazione delle proprie più profonde ragioni d’artista. Attraverso le tematiche dell’antico, Previtali ha potuto valorizzare la propria vera indole, la cui intima natura è lunare, cioè tendente al visionario, al meraviglioso, all’onirico, al magico, all’esoterico, all’occulto, all’oscuro, all’alchemico, al carnevalesco, al grottesco e al macabro, secondo quella plurisecolare lezione “umbratile” dell’arte europea che va dall’Ellenismo al Manierismo tardocinquecentesco, dal Barocco al Grechetto e a Salvator Rosa, dalle incisioni di Callot alle bautte veneziane settecentesche, da Blake a Goya, dal simbolismo di Wildt fino al Surrealismo. Previtali è essenzialmente uno scultore di teste, di volti e di fisiognomie, anche se non mancano le opere a tutta figura, ulteriori documenti del suo magistero capace di plasmare in una lingua odierna, personale e riconoscibile, le risorse e i portati di mestiere del modellato accademico.
Nell’attività ceramistica di Previtali, intrapresa in modo pressoché esclusivo a partire dal decennio ’90, vediamo fondersi reminiscenze classiche e memorie mitiche sotto il serrato dettato dell’occhio, del colore e di un temperamento visionario. Per dar vita a questo suo repertorio iconografico l’artista si è dedicato totalmente a una tecnica d’origine extraeuropea, il raku, inventato nel Giappone medievale per produrre le stoviglie della cerimonia del tè: un sapiente dosaggio di calore e di ossigeno, dove sali metallici e ossidanti creano peculiari effetti di cromatismo, in una “casualità” di superfici e di colori che l’autore si limita a governare, lasciando comunque un adito all’imprevisto, all’unicità del risultato finale. La scultura di Previtali, cromaticamente ricercata, dalle tonalità serotine e notturne, sfumate, volatili, acquose, percorsa di sottili, espressive craquelures, esprime un sentimento mitico dello stato di natura, della vita e delle sue potenze, come s’addice a un novelliere, o piuttosto a un capocomico che sia sovrano esclusivo e geloso di un proprio inquietante teatro di maschere e di personaggi.
E’ ormai numeroso, oltre che policromo, il popolo di esseri fantastici creato in questi anni da Previtali: le ninfe addormentate, spesso bifronti come Giano; le bellissime Nereidi; le Meduse decollate, talora con una colorazione celeste che rammenta i cieli surrealisti di Magritte; le molte Giuturne il cui corpo si liquefa, icone d’un eterno femminino angelicato e magico, trasfigurato a emblema del mondo incantato; i Bacchi melanconici coronati di pampini; i fauni arguti, belluine maschere che evocano il teatro greco-romano e quello giapponese; i personaggi del mito di sangue come Marsia (lo scorticato vivo dal dio Sole, prefigurazione del cristiano san Bartolomeo) o di berniniana memoria come Apollo e Dafne, raccontati in uno splendido, monocromo dittico di candida maiolica; l’Ermafrodito, inquietante ma divino figlio di Ermes e di Afrodite; le tre ossute e spaventose Moire che detengono i nostri destini; i satiri che ritrovano il teschio di Polifemo, così enorme da somigliare a una caverna o a una montagna; e altri personaggi ancora.
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